Illegittimi i commi 1 e 2 dell’art. 36 della legge n. 449/1997: via libera ai risarcimenti del danno
Sono illegittimi i commi 1 e 2 della legge n. 449/1997 che, in relazione al regime della determinazione dei prezzi medi dei farmaci, hanno la finalità di vanificare gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato n. 118/1997 e di impedire, quindi, alle aziende farmaceutiche le conseguenti azioni per il risarcimento del danno.
Massima
Sanità pubblica – Farmaci – Prezzi delle specialità medicinali, esclusi i medicinali da banco – Regime di sorveglianza – Controllo sottoposto a delibera del CIPE, annullata in sede giurisdizionale – Successiva disposizione, asseritamente interpretativa, che attribuisce effetto retroattivo alla delibera annullata – Violazione dei principi del giusto processo, della parità delle armi in giudizio e di ragionevolezza – Illegittimità costituzionale
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8 comma 12 della legge n. 537/1993, secondo cui il prezzo dei farmaci (esclusi quelli da banco) non doveva superare la media dei prezzi risultati per prodotti similari nell’ambito della Comunità europea, altresì rimettendone al CIPE la concreta determinazione, quest’ultimo adottò la delibera del 25 febbraio 1994, con la quale stabiliva di selezionare soltanto alcuni Paesi per calcolare la media europea e di utilizzare i tassi di conversione basati sul potere d’acquisto delle varie monete.
Successivamente all’insorgere di numerosi contenziosi dinanzi al Giudice amministrativo da parte delle società farmaceutiche, che lamentavano una perdita finanziaria dall’applicazione delle norme del CIPE, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 118/1997 annullò la predetta determina giacché essa aveva preso a riferimento i prezzi soltanto di alcuni Paesi della Comunità (invece che tutti) e poiché non aveva applicato il tasso ufficiale di cambio.
Poiché dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato e l’annullamento della delibera CIPE furono allora proposti vari ricorsi da parte delle aziende farmaceutiche per il risarcimento dei danni arrecati dalla delibera, il legislatore neutralizzò gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato con la nuova legge n. 449/1997. Essa, all’art. 36 comma 3 applicava per il futuro i criteri desumibili dalla sentenza del Consiglio di Stato (media di tutti i Paesi europei e tasso ufficiale di cambio), mentre ai precedenti commi 1 e 2 interveniva sul passato, da un canto fornendo un’interpretazione della disciplina della legge n. 557/1993 conforme a ciò che era stato deciso con la delibera del 25 febbraio 1994 dal CIPE (annullata nel 1997 dal Consiglio di Stato), dall’altro canto operando una sanatoria di quanto deciso dal CIPE con la medesima delibera del 25 febbraio 1994.
Era fin troppo evidente il tentativo del legislatore di impedire retroattivamente, con i commi 1 e 2, che le aziende farmaceutiche ottenessero quei risarcimenti del danno per i quali già pendevano i ricorsi, sicché il Consiglio di Stato, all’interno di uno di tali giudizi, prendendo atto che i due commi in questione avevano creato uno “schermo” che impediva di esaminare le richieste di danni, sollevò questione di legittimità costituzionale dei predetti commi 1 e 2.
La Corte Costituzionale, investita della questione, decide che i due commi violano i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, oltre che il principio di ragionevolezza e dichiara la loro illegittimità costituzionale.
La sentenza premette che di fronte ad una norma retroattiva è necessario procedere ad uno scrutinio rigoroso, tanto più quando tale intervento del legislatore interviene su giudizi in corso, tenuto conto del conseguente sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte in giudizio. Tale scrutinio diventa ancora più penetrante ove si consideri che le norme in questione sono finalizzate proprio ad impedire la possibilità di ottenere un risarcimento del danno da parte di chi abbia ottenuto giustizia attraverso la rimozione di un atto illegittimo (la delibera CIPE). Poste tali premesse la sentenza afferma che la tutela dei soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi su giudizi in corso.
E che il vero obiettivo del legislatore, con i commi 1 e 2, sia proprio quello di impedire alle aziende farmaceutiche di ottenere i risarcimenti dei danni lo si desume dal contenuto dei lavori preparatori della legge, dal comportamento processuale dell’amministrazione statale, dalla contraddittorietà del comma 3 dell’art. 36 (che per il futuro delinea un sistema in linea con i principi della sentenza del Consiglio di Stato del 1997) con i due precedenti commi 1 e 2 (che invece, irragionevolmente stabiliscono l’applicabilità per il passato, a fini di sanatoria, del diverso regime però già dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato con la propria sentenza del 1997).
La Corte conclude, quindi, evidenziando che è evidente, sia sul piano soggettivo, che su quello oggettivo, la volontà del legislatore di interferire su vicende processuali in corso al fine (o con il risultato) di alterarne l’esito, palesando, così, l’utilizzo improprio della funzione legislativa e determinando in tal modo l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 36 della legge n. 449/1997.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
Corte Costituzionale/sentenza del 6 maggio 2024
Illegittimi i commi 1 e 2 dell’art. 36 della legge n. 449/1997: via libera ai risarcimenti del danno
Sono illegittimi i commi 1 e 2 della legge n. 449/1997 che, in relazione al regime della determinazione dei prezzi medi dei farmaci, hanno la finalità di vanificare gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato n. 118/1997 e di impedire, quindi, alle aziende farmaceutiche le conseguenti azioni per il risarcimento del danno.
Massima
Sanità pubblica – Farmaci – Prezzi delle specialità medicinali, esclusi i medicinali da banco – Regime di sorveglianza – Controllo sottoposto a delibera del CIPE, annullata in sede giurisdizionale – Successiva disposizione, asseritamente interpretativa, che attribuisce effetto retroattivo alla delibera annullata – Violazione dei principi del giusto processo, della parità delle armi in giudizio e di ragionevolezza – Illegittimità costituzionale
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8 comma 12 della legge n. 537/1993, secondo cui il prezzo dei farmaci (esclusi quelli da banco) non doveva superare la media dei prezzi risultati per prodotti similari nell’ambito della Comunità europea, altresì rimettendone al CIPE la concreta determinazione, quest’ultimo adottò la delibera del 25 febbraio 1994, con la quale stabiliva di selezionare soltanto alcuni Paesi per calcolare la media europea e di utilizzare i tassi di conversione basati sul potere d’acquisto delle varie monete.
Successivamente all’insorgere di numerosi contenziosi dinanzi al Giudice amministrativo da parte delle società farmaceutiche, che lamentavano una perdita finanziaria dall’applicazione delle norme del CIPE, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 118/1997 annullò la predetta determina giacché essa aveva preso a riferimento i prezzi soltanto di alcuni Paesi della Comunità (invece che tutti) e poiché non aveva applicato il tasso ufficiale di cambio.
Poiché dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato e l’annullamento della delibera CIPE furono allora proposti vari ricorsi da parte delle aziende farmaceutiche per il risarcimento dei danni arrecati dalla delibera, il legislatore neutralizzò gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato con la nuova legge n. 449/1997. Essa, all’art. 36 comma 3 applicava per il futuro i criteri desumibili dalla sentenza del Consiglio di Stato (media di tutti i Paesi europei e tasso ufficiale di cambio), mentre ai precedenti commi 1 e 2 interveniva sul passato, da un canto fornendo un’interpretazione della disciplina della legge n. 557/1993 conforme a ciò che era stato deciso con la delibera del 25 febbraio 1994 dal CIPE (annullata nel 1997 dal Consiglio di Stato), dall’altro canto operando una sanatoria di quanto deciso dal CIPE con la medesima delibera del 25 febbraio 1994.
Era fin troppo evidente il tentativo del legislatore di impedire retroattivamente, con i commi 1 e 2, che le aziende farmaceutiche ottenessero quei risarcimenti del danno per i quali già pendevano i ricorsi, sicché il Consiglio di Stato, all’interno di uno di tali giudizi, prendendo atto che i due commi in questione avevano creato uno “schermo” che impediva di esaminare le richieste di danni, sollevò questione di legittimità costituzionale dei predetti commi 1 e 2.
La Corte Costituzionale, investita della questione, decide che i due commi violano i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, oltre che il principio di ragionevolezza e dichiara la loro illegittimità costituzionale.
La sentenza premette che di fronte ad una norma retroattiva è necessario procedere ad uno scrutinio rigoroso, tanto più quando tale intervento del legislatore interviene su giudizi in corso, tenuto conto del conseguente sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte in giudizio. Tale scrutinio diventa ancora più penetrante ove si consideri che le norme in questione sono finalizzate proprio ad impedire la possibilità di ottenere un risarcimento del danno da parte di chi abbia ottenuto giustizia attraverso la rimozione di un atto illegittimo (la delibera CIPE). Poste tali premesse la sentenza afferma che la tutela dei soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi su giudizi in corso.
E che il vero obiettivo del legislatore, con i commi 1 e 2, sia proprio quello di impedire alle aziende farmaceutiche di ottenere i risarcimenti dei danni lo si desume dal contenuto dei lavori preparatori della legge, dal comportamento processuale dell’amministrazione statale, dalla contraddittorietà del comma 3 dell’art. 36 (che per il futuro delinea un sistema in linea con i principi della sentenza del Consiglio di Stato del 1997) con i due precedenti commi 1 e 2 (che invece, irragionevolmente stabiliscono l’applicabilità per il passato, a fini di sanatoria, del diverso regime però già dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato con la propria sentenza del 1997).
La Corte conclude, quindi, evidenziando che è evidente, sia sul piano soggettivo, che su quello oggettivo, la volontà del legislatore di interferire su vicende processuali in corso al fine (o con il risultato) di alterarne l’esito, palesando, così, l’utilizzo improprio della funzione legislativa e determinando in tal modo l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 36 della legge n. 449/1997.
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