La Corte di Giustizia definisce i confini tra la nozione di medicinale e quella di dispositivo medico
E' da ritenersi un medicinale, e non un dispositivo medico, il prodotto che mediante un legame reversibile con dei batteri, impedisca a questi ultimi di fissarsi a cellule umane
Massima
Medicinale - rinvio pregiudiziale – medicinali per uso umano – direttiva 2001/83/CE – articolo 1, punto 2, lettera b) – nozione di “medicinale per funzione” – nozione di “azione farmacologica” – sostanza che si lega in modo reversibile a dei batteri per impedire loro di legarsi alle cellule umane – articolo 2, paragrafo 2 – contesto normativo applicabile – classificazione come “dispositivo medico” o come “medicinale” – dispositivi medici – direttiva 93/42/CEE – articolo 1, paragrafo 2, lettera a) – nozione di “dispositivo medico”
Una società commercializza, per il trattamento e la prevenzione della cistite, due prodotti qualificati come dispositivi medici:
- il primo con componenti principali D-mannosio e l’estratto di mirtillo rosso,
- il secondo (avente una denominazione quasi identica al primo), con D-mannosio e senza estratto di mirtillo rosso.
Un'associazione di aziende farmaceutiche tedesche che commercializzano medicinali e dispositivi medici, ritenendo che in realtà l'azienda concorrente non stia commercializzando dispositivi medici, ma medicinali veri e propri per cui non ha mai ottenuto un'AIC, propone ricorso al Tribunale per far cessare tale commercializzazione e la relativa pubblicità.
Il ricorso viene accolto e, in sede di appello, la sentenza di primo grado viene confermata, sicché alla società che commercializzava i prodotti per curare l'infezione alla vescica è inibita sia la vendita che, di conseguenza, la pubblicità degli stessi. Il ragionamento su cui poggia la sentenza è che i prodotti come quelli oggetti di giudizio sono “medicinali per funzione”, ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, la cui azione farmacologica è esercitata dal D-mannosio. Secondo il perito nominato, infatti, la suddetta sostanza attiva, legandosi all’adesina FimH presente sul batterio Escherichia coli, impedisce a quest’ultimo di fissarsi a determinate strutture poste sulla parete della vescica, e ciò costituisce un intervento nei processi fisiologici di questo batterio e nei processi fisiopatologici dell’infezione delle vie urinarie. La sentenza fa anche riferimento al documento orientativo adottato dalla direzione generale Imprese e industria della Commissione europea e conosciuto come “documento orientativo Meddev”, secondo cui la nozione di “mezzi farmacologici” presuppone un’interazione tra le molecole della sostanza di cui trattasi e un componente cellulare, comunemente denominato “ricettore”, che blocca la reazione ad un altro agente. Poiché nel caso in esame il D-mannosio agisce sull’adesina FimH bloccando la reazione ad un altro agente, il Giudice di secondo grado tedesco ritiene, in base alla definizione contenuta nel documento Meddev, che il D-mannosio eserciti un’azione farmacologica e che quindi i prodotti non devono essere più commercializzati e pubblicizzati giacché non è mai stata concessa l'AIC per essi.
Nel giudizio di ultimo grado, però, la Corte federale di giustizia tedesca sottopone alla Corte di Giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla questione se i prodotti su cui si controverte esercitano effettivamente un’azione farmacologica e se possano influire in modo significativo sulle funzioni fisiologiche umane, così da dover essere qualificati come medicinali per funzione ai sensi dell’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83. Più precisamente, la questione pregiudiziale è “se si configuri un’azione farmacologica ai sensi dell’articolo 1, punto 2, lettera b), prima ipotesi, della direttiva 2001/83/CE qualora la sostanza in questione (nella fattispecie il D-mannosio) impedisca ai batteri di legarsi alle cellule umane (nella fattispecie la parete vescicale) attraverso un legame reversibile mediato da legami a idrogeno”.
La Corte di Giustizia affronta la questione partendo dalle definizioni di “medicinale per funzione” e “dispositivo medico”:
“medicinale per funzione” è ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83 “ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica (sentenza del 13 ottobre 2022, M2Beauté Cosmetics, C-616/20, punto 28)”;
“dispositivo medico” è in base all’articolo 1 paragrafo 2 lettera a) della direttiva 93/42 “una sostanza destinata ad essere impiegata sull’uomo a fini di, in particolare, diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia, purché la sua azione principale voluta nel o sul corpo umano non sia conseguita con mezzi farmacologici né immunologici né mediante metabolismo”.
E poiché la nozione di “azione farmacologica” indica gli effetti di una sostanza su un organismo vivente, a fini terapeutici o preventivi, la Corte di Giustizia, al fine di affrontare con l'ausilio della scienza la questione, richiama in questa sentenza il predetto “documento orientativo Meddev” che, redatto sotto l’egida della Commissione, ha la funzione precipua di assistere le autorità competenti in tutti quei casi in cui si debbano distinguere i dispositivi medici dai medicinali.
A tal proposito la sentenza afferma che il punto A.2.1.1 del documento, intitolato “Definizione del dispositivo medico”, contiene la nozione di “mezzi farmacologici”, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42, che va intesa come un’interazione tra le molecole della sostanza di cui trattasi e un componente cellulare, generalmente qualificato come recettore, che provoca una reazione diretta o blocca la reazione ad un altro agente.
Secondo il “documento orientativo MDCG”, che fornisce chiarimenti ancora più precisi appositamente sui casi limite tra dispositivi medici e medicinali ai sensi del regolamento (UE) 2017/745, la nozione suddetta designa un’interazione, generalmente a livello molecolare, tra una sostanza o i suoi metaboliti e un componente del corpo umano, che determina l’avvio, il potenziamento, la riduzione o il blocco di funzioni fisiologiche oppure di processi patologici.
Ciò posto la sentenza conclude nel senso che i prodotti su cui è sorto il contenzioso rientrano nella nozione di medicinali per quattro ordini di ragioni:
1) la giurisprudenza pregressa in materia (sentenza del 6 settembre 2012, Chemische Fabrik Kreussler, C- 308/11, punto 31), in materia di interpretazione dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, ha già stabilito che una sostanza le cui molecole non interagiscono con un componente cellulare umano può tuttavia, interagendo con altri componenti cellulari presenti nell’organismo dell’utilizzatore, quali batteri, virus o parassiti, avere l’effetto di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche nell’uomo ai sensi di tale disposizione. Il documento orientativo MDCG precisa, nello stesso senso, che un “componente del corpo umano” include infatti qualsiasi componente cellulare, compresi gli agenti patogeni presenti sul corpo o al suo interno;
2) il tipo d’interazione richiesto è definito nei documenti orientativi Meddev e CGDM in modo relativamente ampio, vale a dire “tra le molecole” o “generalmente a livello molecolare” e, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di “medicinale”, ai sensi della direttiva 2001/83, deve essere interpretata estensivamente (sentenza del 20 settembre 2007, Antroposana e a., C-84/06, punto 31), peraltro il punto 1.2.2 del documento orientativo GCDM menziona espressamente i legami mediati da un legame a idrogeno come esempio di “interazione”, ai sensi della definizione dei “mezzi farmacologici”;
3) non rileva il fatto che le molecole della sostanza oggetto di giudizio non interagiscono col componente cellulare mediante un legame durevole: l'interazione mediante legame durevole non è richiesta né dalle direttive 2001/83 e 93/42, né dai documenti orientativi Meddev e CGDM, sicché anche se la sostanza si lega in maniera reversibile con un componente cellulare, comunque può ritenersi in atto un’azione farmacologica ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, nella sua interpretazione estensiva;
4) la nozione di “mezzi farmacologici” che si ricava dal “documento orientativo Meddev”, secondo cui l’interazione deve dar luogo, in particolare, al blocco della reazione ad un altro agente, va letta alla luce della definizione di tale nozione contenuta nel documento orientativo GCDM, in cui si legge che l’interazione tra la sostanza interessata e il componente cellulare presente nell’organismo dell’utilizzatore deve comportare “l’avvio, il potenziamento, la riduzione o il blocco di funzioni fisiologiche oppure di processi patologici”; poiché è pacifico che il processo mediante il quale una sostanza, legandosi ad un batterio, impedisce a quest’ultimo di legarsi ad un componente cellulare umano deve essere considerato corrispondente ad un “blocco di processi patologici”, ne discende che una sostanza che, legandosi in modo reversibile a dei batteri, impedisca loro di fissarsi a cellule umane va considerata come esercitante una “azione farmacologica” ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83.
La sentenza si conclude richiamando l’articolo 2 paragrafo 2 della suddetta direttiva, secondo cui, in caso di dubbio sulla corretta classificazione di un prodotto, va applicata la disciplina sui medicinali, giacché la direttiva 2001/83 ha l'obiettivo di garantire un livello elevato di protezione della salute umana e, a tal fine, occorre mantenere un livello elevato di requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali per uso umano, che invece verrebbe messo in pericolo se si addivenisse ad un’interpretazione restrittiva della nozione di “azione farmacologica”.
In definitiva la Corte di Giustizia dichiara “che l’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83 deve essere interpretato nel senso che una sostanza che, mediante un legame reversibile con dei batteri, impedisca a questi ultimi di fissarsi a cellule umane deve essere considerata come esercitante un’”azione farmacologica” ai sensi di tale disposizione”.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
Corte di Giustizia/sentenza del 13 marzo 2025
La Corte di Giustizia definisce i confini tra la nozione di medicinale e quella di dispositivo medico
E' da ritenersi un medicinale, e non un dispositivo medico, il prodotto che mediante un legame reversibile con dei batteri, impedisca a questi ultimi di fissarsi a cellule umane
Massima
Medicinale - rinvio pregiudiziale – medicinali per uso umano – direttiva 2001/83/CE – articolo 1, punto 2, lettera b) – nozione di “medicinale per funzione” – nozione di “azione farmacologica” – sostanza che si lega in modo reversibile a dei batteri per impedire loro di legarsi alle cellule umane – articolo 2, paragrafo 2 – contesto normativo applicabile – classificazione come “dispositivo medico” o come “medicinale” – dispositivi medici – direttiva 93/42/CEE – articolo 1, paragrafo 2, lettera a) – nozione di “dispositivo medico”
Una società commercializza, per il trattamento e la prevenzione della cistite, due prodotti qualificati come dispositivi medici:
- il primo con componenti principali D-mannosio e l’estratto di mirtillo rosso,
- il secondo (avente una denominazione quasi identica al primo), con D-mannosio e senza estratto di mirtillo rosso.
Un'associazione di aziende farmaceutiche tedesche che commercializzano medicinali e dispositivi medici, ritenendo che in realtà l'azienda concorrente non stia commercializzando dispositivi medici, ma medicinali veri e propri per cui non ha mai ottenuto un'AIC, propone ricorso al Tribunale per far cessare tale commercializzazione e la relativa pubblicità.
Il ricorso viene accolto e, in sede di appello, la sentenza di primo grado viene confermata, sicché alla società che commercializzava i prodotti per curare l'infezione alla vescica è inibita sia la vendita che, di conseguenza, la pubblicità degli stessi. Il ragionamento su cui poggia la sentenza è che i prodotti come quelli oggetti di giudizio sono “medicinali per funzione”, ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, la cui azione farmacologica è esercitata dal D-mannosio. Secondo il perito nominato, infatti, la suddetta sostanza attiva, legandosi all’adesina FimH presente sul batterio Escherichia coli, impedisce a quest’ultimo di fissarsi a determinate strutture poste sulla parete della vescica, e ciò costituisce un intervento nei processi fisiologici di questo batterio e nei processi fisiopatologici dell’infezione delle vie urinarie. La sentenza fa anche riferimento al documento orientativo adottato dalla direzione generale Imprese e industria della Commissione europea e conosciuto come “documento orientativo Meddev”, secondo cui la nozione di “mezzi farmacologici” presuppone un’interazione tra le molecole della sostanza di cui trattasi e un componente cellulare, comunemente denominato “ricettore”, che blocca la reazione ad un altro agente. Poiché nel caso in esame il D-mannosio agisce sull’adesina FimH bloccando la reazione ad un altro agente, il Giudice di secondo grado tedesco ritiene, in base alla definizione contenuta nel documento Meddev, che il D-mannosio eserciti un’azione farmacologica e che quindi i prodotti non devono essere più commercializzati e pubblicizzati giacché non è mai stata concessa l'AIC per essi.
Nel giudizio di ultimo grado, però, la Corte federale di giustizia tedesca sottopone alla Corte di Giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla questione se i prodotti su cui si controverte esercitano effettivamente un’azione farmacologica e se possano influire in modo significativo sulle funzioni fisiologiche umane, così da dover essere qualificati come medicinali per funzione ai sensi dell’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83. Più precisamente, la questione pregiudiziale è “se si configuri un’azione farmacologica ai sensi dell’articolo 1, punto 2, lettera b), prima ipotesi, della direttiva 2001/83/CE qualora la sostanza in questione (nella fattispecie il D-mannosio) impedisca ai batteri di legarsi alle cellule umane (nella fattispecie la parete vescicale) attraverso un legame reversibile mediato da legami a idrogeno”.
La Corte di Giustizia affronta la questione partendo dalle definizioni di “medicinale per funzione” e “dispositivo medico”:
“medicinale per funzione” è ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83 “ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica (sentenza del 13 ottobre 2022, M2Beauté Cosmetics, C-616/20, punto 28)”;
“dispositivo medico” è in base all’articolo 1 paragrafo 2 lettera a) della direttiva 93/42 “una sostanza destinata ad essere impiegata sull’uomo a fini di, in particolare, diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia, purché la sua azione principale voluta nel o sul corpo umano non sia conseguita con mezzi farmacologici né immunologici né mediante metabolismo”.
Ne discende che una sostanza non può essere qualificata come “dispositivo medico”, se l’azione principale voluta nel o sul corpo umano è conseguita con mezzi farmacologici (sentenza del 19 gennaio 2023, Bundesrepublik Deutschland, C-495/21 e C-496/21, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
E poiché la nozione di “azione farmacologica” indica gli effetti di una sostanza su un organismo vivente, a fini terapeutici o preventivi, la Corte di Giustizia, al fine di affrontare con l'ausilio della scienza la questione, richiama in questa sentenza il predetto “documento orientativo Meddev” che, redatto sotto l’egida della Commissione, ha la funzione precipua di assistere le autorità competenti in tutti quei casi in cui si debbano distinguere i dispositivi medici dai medicinali.
A tal proposito la sentenza afferma che il punto A.2.1.1 del documento, intitolato “Definizione del dispositivo medico”, contiene la nozione di “mezzi farmacologici”, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42, che va intesa come un’interazione tra le molecole della sostanza di cui trattasi e un componente cellulare, generalmente qualificato come recettore, che provoca una reazione diretta o blocca la reazione ad un altro agente.
Secondo il “documento orientativo MDCG”, che fornisce chiarimenti ancora più precisi appositamente sui casi limite tra dispositivi medici e medicinali ai sensi del regolamento (UE) 2017/745, la nozione suddetta designa un’interazione, generalmente a livello molecolare, tra una sostanza o i suoi metaboliti e un componente del corpo umano, che determina l’avvio, il potenziamento, la riduzione o il blocco di funzioni fisiologiche oppure di processi patologici.
Ciò posto la sentenza conclude nel senso che i prodotti su cui è sorto il contenzioso rientrano nella nozione di medicinali per quattro ordini di ragioni:
1) la giurisprudenza pregressa in materia (sentenza del 6 settembre 2012, Chemische Fabrik Kreussler, C- 308/11, punto 31), in materia di interpretazione dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, ha già stabilito che una sostanza le cui molecole non interagiscono con un componente cellulare umano può tuttavia, interagendo con altri componenti cellulari presenti nell’organismo dell’utilizzatore, quali batteri, virus o parassiti, avere l’effetto di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche nell’uomo ai sensi di tale disposizione. Il documento orientativo MDCG precisa, nello stesso senso, che un “componente del corpo umano” include infatti qualsiasi componente cellulare, compresi gli agenti patogeni presenti sul corpo o al suo interno;
2) il tipo d’interazione richiesto è definito nei documenti orientativi Meddev e CGDM in modo relativamente ampio, vale a dire “tra le molecole” o “generalmente a livello molecolare” e, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di “medicinale”, ai sensi della direttiva 2001/83, deve essere interpretata estensivamente (sentenza del 20 settembre 2007, Antroposana e a., C-84/06, punto 31), peraltro il punto 1.2.2 del documento orientativo GCDM menziona espressamente i legami mediati da un legame a idrogeno come esempio di “interazione”, ai sensi della definizione dei “mezzi farmacologici”;
3) non rileva il fatto che le molecole della sostanza oggetto di giudizio non interagiscono col componente cellulare mediante un legame durevole: l'interazione mediante legame durevole non è richiesta né dalle direttive 2001/83 e 93/42, né dai documenti orientativi Meddev e CGDM, sicché anche se la sostanza si lega in maniera reversibile con un componente cellulare, comunque può ritenersi in atto un’azione farmacologica ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83, nella sua interpretazione estensiva;
4) la nozione di “mezzi farmacologici” che si ricava dal “documento orientativo Meddev”, secondo cui l’interazione deve dar luogo, in particolare, al blocco della reazione ad un altro agente, va letta alla luce della definizione di tale nozione contenuta nel documento orientativo GCDM, in cui si legge che l’interazione tra la sostanza interessata e il componente cellulare presente nell’organismo dell’utilizzatore deve comportare “l’avvio, il potenziamento, la riduzione o il blocco di funzioni fisiologiche oppure di processi patologici”; poiché è pacifico che il processo mediante il quale una sostanza, legandosi ad un batterio, impedisce a quest’ultimo di legarsi ad un componente cellulare umano deve essere considerato corrispondente ad un “blocco di processi patologici”, ne discende che una sostanza che, legandosi in modo reversibile a dei batteri, impedisca loro di fissarsi a cellule umane va considerata come esercitante una “azione farmacologica” ai sensi dell’articolo 1 punto 2 lettera b) della direttiva 2001/83.
La sentenza si conclude richiamando l’articolo 2 paragrafo 2 della suddetta direttiva, secondo cui, in caso di dubbio sulla corretta classificazione di un prodotto, va applicata la disciplina sui medicinali, giacché la direttiva 2001/83 ha l'obiettivo di garantire un livello elevato di protezione della salute umana e, a tal fine, occorre mantenere un livello elevato di requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali per uso umano, che invece verrebbe messo in pericolo se si addivenisse ad un’interpretazione restrittiva della nozione di “azione farmacologica”.
In definitiva la Corte di Giustizia dichiara “che l’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83 deve essere interpretato nel senso che una sostanza che, mediante un legame reversibile con dei batteri, impedisca a questi ultimi di fissarsi a cellule umane deve essere considerata come esercitante un’”azione farmacologica” ai sensi di tale disposizione”.
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