Se sopravvenienze riducono la redditività della farmacia comunale, il Comune è libero di non giungere ad un accordo sulla rinegoziazione del contratto con il privato affidatario
Se il privato affidatario della farmacia comunale chiede al Comune la rinegoziazione del contratto per circostanze che hanno ridotto la redditività della farmacia, il Comune è tenuto alla rinegoziazione rimanendo però libero di non concluderla con un accordo, residuando in tal caso al privato affidatario il recesso unilaterale
Massima
Farmacia – privato affidatario del servizio di gestione della farmacia comunale – sopravvenienze idonee a ridurre drasticamente la redditività della farmacia – richiesta dell'affidatario di rinegoziazione del contratto di concessione – mancata accettazione del Comune delle condizioni di rinegoziazione dell'affidatario – ricorso avverso diniego comunale di rinegoziazione – infondatezza – possibilità di recesso del concessionario – sussistenza
Un Comune, dopo aver individuato il privato aggiudicatario del servizio di gestione della farmacia comunale mediante un procedimento ad evidenza pubblica, stipula il contratto di gestione del servizio per la durata di quindici anni.
Con il passare del tempo, tuttavia, l'affidatario fa presente che si è ridotta in maniera rilevante la redditività della farmacia per una serie di sopravvenienze: l'aumento delle sedi in pianta organica a causa della legge “cresci Italia”, l'attivazione di alcune parafarmacie, la distribuzione diretta dei farmaci da parte dell'ASL, la diminuzione degli abitanti e il pensionamento del medico generico del paese, con conseguente diminuzione di ricette. Poste tali premesse chiede al Comune di procedere a una rinegoziazione delle clausole contrattuali. Dopo uno scambio fitto di corrispondenza, il Comune decide di non accettare le richieste dell'affidatario che, contro tali determinazioni finali dell'Amministrazione, propone ricorso al TAR.
Il Collegio, però, respinge il ricorso. In sentenza si legge che nel contratto di concessione di un pubblico servizio l'affidatario del servizio dato in concessione si accolla il cosiddetto “rischio operativo”; ciò significa che, in condizioni operative normali, non è garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi oggetto della concessione. In buona sostanza il rischio d’impresa, consistente nel rischio di domanda, ovvero la possibilità di non recuperare nemmeno gli investimenti e i costi sostenuti in concreto per effetto dei diversi volumi di domanda del servizio, grava in capo al concessionario. Sulla base di queste premesse il Collegio afferma che, tuttavia, il sopraggiungere di circostanze imprevedibili, come quelle indicate dall'affidatario nel caso che ci riguarda, può in effetti determinare un significativo e imprevedibile mutamento del settore operativo di riferimento, tale da non garantire più l’equilibrio economico finanziario ordinariamente previsto nel progetto imprenditoriale. In tal caso è certamente possibile avviare una rinegoziazione delle clausole contrattuali, senza che però il Comune sia obbligato a concluderla in ogni caso, né tantomeno sia tenuto ad accettare le condizioni poste dall'affidatario. Quella di concludere positivamente la rinegoziazione è infatti una possibilità per il Comune, non un obbligo.
Il Collegio afferma quindi in definitiva che l’ordinamento non garantisce alla parte privata contraente il diritto ad una revisione che si concluda con un accordo, ma impone soltanto in capo all’amministrazione concedente l’onere di avviare trattative sul punto, sempre però tenendo in considerazione l’interesse pubblico. In definitiva, il legislatore prevede soltanto l'obbligo di una ricerca di accordo, ma non l'obbligo di conclusione dello stesso. In caso di mancato raggiungimento dell'accordo al privato contraente può spettare soltanto il recesso dal contratto.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
TAR Parma/
Se sopravvenienze riducono la redditività della farmacia comunale, il Comune è libero di non giungere ad un accordo sulla rinegoziazione del contratto con il privato affidatario
Se il privato affidatario della farmacia comunale chiede al Comune la rinegoziazione del contratto per circostanze che hanno ridotto la redditività della farmacia, il Comune è tenuto alla rinegoziazione rimanendo però libero di non concluderla con un accordo, residuando in tal caso al privato affidatario il recesso unilaterale
Massima
Farmacia – privato affidatario del servizio di gestione della farmacia comunale – sopravvenienze idonee a ridurre drasticamente la redditività della farmacia – richiesta dell'affidatario di rinegoziazione del contratto di concessione – mancata accettazione del Comune delle condizioni di rinegoziazione dell'affidatario – ricorso avverso diniego comunale di rinegoziazione – infondatezza – possibilità di recesso del concessionario – sussistenza
Un Comune, dopo aver individuato il privato aggiudicatario del servizio di gestione della farmacia comunale mediante un procedimento ad evidenza pubblica, stipula il contratto di gestione del servizio per la durata di quindici anni.
Con il passare del tempo, tuttavia, l'affidatario fa presente che si è ridotta in maniera rilevante la redditività della farmacia per una serie di sopravvenienze: l'aumento delle sedi in pianta organica a causa della legge “cresci Italia”, l'attivazione di alcune parafarmacie, la distribuzione diretta dei farmaci da parte dell'ASL, la diminuzione degli abitanti e il pensionamento del medico generico del paese, con conseguente diminuzione di ricette. Poste tali premesse chiede al Comune di procedere a una rinegoziazione delle clausole contrattuali. Dopo uno scambio fitto di corrispondenza, il Comune decide di non accettare le richieste dell'affidatario che, contro tali determinazioni finali dell'Amministrazione, propone ricorso al TAR.
Il Collegio, però, respinge il ricorso. In sentenza si legge che nel contratto di concessione di un pubblico servizio l'affidatario del servizio dato in concessione si accolla il cosiddetto “rischio operativo”; ciò significa che, in condizioni operative normali, non è garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi oggetto della concessione. In buona sostanza il rischio d’impresa, consistente nel rischio di domanda, ovvero la possibilità di non recuperare nemmeno gli investimenti e i costi sostenuti in concreto per effetto dei diversi volumi di domanda del servizio, grava in capo al concessionario. Sulla base di queste premesse il Collegio afferma che, tuttavia, il sopraggiungere di circostanze imprevedibili, come quelle indicate dall'affidatario nel caso che ci riguarda, può in effetti determinare un significativo e imprevedibile mutamento del settore operativo di riferimento, tale da non garantire più l’equilibrio economico finanziario ordinariamente previsto nel progetto imprenditoriale. In tal caso è certamente possibile avviare una rinegoziazione delle clausole contrattuali, senza che però il Comune sia obbligato a concluderla in ogni caso, né tantomeno sia tenuto ad accettare le condizioni poste dall'affidatario. Quella di concludere positivamente la rinegoziazione è infatti una possibilità per il Comune, non un obbligo.
Il Collegio afferma quindi in definitiva che l’ordinamento non garantisce alla parte privata contraente il diritto ad una revisione che si concluda con un accordo, ma impone soltanto in capo all’amministrazione concedente l’onere di avviare trattative sul punto, sempre però tenendo in considerazione l’interesse pubblico. In definitiva, il legislatore prevede soltanto l'obbligo di una ricerca di accordo, ma non l'obbligo di conclusione dello stesso. In caso di mancato raggiungimento dell'accordo al privato contraente può spettare soltanto il recesso dal contratto.
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