Trasferimento della farmacia ex art. 5 legge n. 362/1991? Solo se c’è stata variazione demografica
L’istanza di trasferimento ex art. 5 della legge n. 362/1991 non può trovare il suo fondamento nell’asserita mancanza di locali disponibili all’interno della zona di pertinenza.
Il Comune non deve limitare la propria istruttoria all’acquisizione di dichiarazioni giurate del titolare di farmacia in merito alla mancanza di locali disponibili, ma deve comunque procedere a verificare autonomamente tale asserita indisponibilità.
Ai fini dell’acquisizione dei pareri obbligatori da parte di ASL ed Ordine provinciale dei farmacisti, occorre che tali enti siano messi concretamente in condizione di pronunciarsi.
Massima
Farmacia – asserita indisponibilità di locali - istanza di trasferimento ex art. 5 legge n. 362/1991 – autorizzazione – omessa valutazione variazione demografica – illegittimità
Farmacia – asserita indisponibilità di locali – autocertificazione – insufficienza
Farmacia – pareri obbligatori ASL e Ordine farmacisti – impossibilità per carenza dati informativi – illegittimità
Una titolare di farmacia, sulla scorta di un’autocertificazione da cui risulta da un canto l’avvenuta vendita dei locali in cui svolge l’attività da parte del proprietario con richiesta di rilascio immobile e, dall’altro, l’indisponibilità di altri locali idonei, chiede ed ottiene dal Comune un trasferimento di sede al di fuori della propria zona di appartenenza.
Avverso tale atto insorge dinanzi al TAR etneo il titolare della sede all’interno della cui zona è stato autorizzato il trasferimento che, oltre a contestare nel merito il contenuto dell’autocertificazione, lamenta l’assenza di “nuovi insediamenti abitativi” e, quindi, la mancanza di mutamenti della distribuzione della popolazione tali da consentire l’adozione dell’atto autorizzatorio da parte del Comune.
Il TAR, dopo aver sottolineato la differenza tra il trasferimento all’interno della propria sede ex art. 1 comma 4 della legge n. 475/1968 (che deve ritenersi in linea di massima e salvo eccezioni libero) e quello al di fuori della propria sede ex art. 5 comma 2 della legge n. 362/1991 (che invece deve ritenersi in linea di massima condizionato allo spostamento della popolazione), conclude che nel caso che ci riguarda si ricade nella seconda fattispecie. In merito a tanto conferma, richiamando precedenti giurisprudenziali, che il presupposto per il trasferimento va rinvenuto in mutamenti demografici, nella nascita di nuovi insediamenti abitativi, in migrazioni della popolazione, mentre nel caso di specie il motivo è stata l’asserita (mediante autocertificazione) mancanza di locali idonei nella zona di appartenenza. A tal proposito secondo il Collegio deve rilevarsi un’istruttoria incompleta da parte del Comune sotto due profili.
In primo luogo il Comune non avrebbe dovuto limitarsi a recepire l’autocertificazione della richiedente in merito all’indisponibilità di locali idonei, ma avrebbe dovuto comunque procedere ad effettuare accertamenti autonomi.
In secondo luogo il Comune avrebbe dovuto verificare se vi fosse stato quello spostamento della popolazione tale da giustificare l’applicazione dell’art. 5 comma 2 della legge n. 362/1991. Da tutti gli atti dell’istruttoria, infatti, non emergerebbe ictu oculi la variazione demografica, con ciò determinando anche una carenza motivazionale dell’atto impugnato.
La sentenza invero apre un ampio spiraglio all’Amministrazione quando afferma che comunque il Comune ha ampia discrezionalità nel modificare le proprie scelte programmatorie, ma in merito a tanto il Giudice sostiene che ciò comporta però un idoneo accertamento documentale riguardo almeno a intervenuti mutamenti demografici, o a disfunzioni per l’utenza o quantomeno a carenze di assistenza farmaceutica nella zona oggetto di trasferimento; sennonché gli atti autorizzatori sono privi di tale riscontro e conseguente motivazione.
In coda alla sentenza il Collegio affronta anche la censura relativa alla mancata acquisizione, da parte del Comune, dei pareri obbligatori di ASL e Ordine provinciale dei farmacisti, evidenziando che, in tutti i casi in cui non si forniscano a tali enti gli elementi utili per la formulazione del parere (nel caso di specie ambedue gli enti avevano dichiarato di non potersi pronunciare a causa della asserita carente istruttoria espletata dal Comune), si ricade nella fattispecie della mancata acquisizione degli stessi con conseguente illegittimità della delibera comunale. Anche se tali pareri non sono vincolanti, infatti, occorre comunque mettere i due enti in condizione di potersi esprimere in merito alle proposte programmatorie del Comune.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
TAR Catania/sentenza del 24 aprile 2024
Trasferimento della farmacia ex art. 5 legge n. 362/1991? Solo se c’è stata variazione demografica
L’istanza di trasferimento ex art. 5 della legge n. 362/1991 non può trovare il suo fondamento nell’asserita mancanza di locali disponibili all’interno della zona di pertinenza.
Il Comune non deve limitare la propria istruttoria all’acquisizione di dichiarazioni giurate del titolare di farmacia in merito alla mancanza di locali disponibili, ma deve comunque procedere a verificare autonomamente tale asserita indisponibilità.
Ai fini dell’acquisizione dei pareri obbligatori da parte di ASL ed Ordine provinciale dei farmacisti, occorre che tali enti siano messi concretamente in condizione di pronunciarsi.
Massima
Farmacia – asserita indisponibilità di locali - istanza di trasferimento ex art. 5 legge n. 362/1991 – autorizzazione – omessa valutazione variazione demografica – illegittimità
Farmacia – asserita indisponibilità di locali – autocertificazione – insufficienza
Farmacia – pareri obbligatori ASL e Ordine farmacisti – impossibilità per carenza dati informativi – illegittimità
Una titolare di farmacia, sulla scorta di un’autocertificazione da cui risulta da un canto l’avvenuta vendita dei locali in cui svolge l’attività da parte del proprietario con richiesta di rilascio immobile e, dall’altro, l’indisponibilità di altri locali idonei, chiede ed ottiene dal Comune un trasferimento di sede al di fuori della propria zona di appartenenza.
Avverso tale atto insorge dinanzi al TAR etneo il titolare della sede all’interno della cui zona è stato autorizzato il trasferimento che, oltre a contestare nel merito il contenuto dell’autocertificazione, lamenta l’assenza di “nuovi insediamenti abitativi” e, quindi, la mancanza di mutamenti della distribuzione della popolazione tali da consentire l’adozione dell’atto autorizzatorio da parte del Comune.
Il TAR, dopo aver sottolineato la differenza tra il trasferimento all’interno della propria sede ex art. 1 comma 4 della legge n. 475/1968 (che deve ritenersi in linea di massima e salvo eccezioni libero) e quello al di fuori della propria sede ex art. 5 comma 2 della legge n. 362/1991 (che invece deve ritenersi in linea di massima condizionato allo spostamento della popolazione), conclude che nel caso che ci riguarda si ricade nella seconda fattispecie. In merito a tanto conferma, richiamando precedenti giurisprudenziali, che il presupposto per il trasferimento va rinvenuto in mutamenti demografici, nella nascita di nuovi insediamenti abitativi, in migrazioni della popolazione, mentre nel caso di specie il motivo è stata l’asserita (mediante autocertificazione) mancanza di locali idonei nella zona di appartenenza. A tal proposito secondo il Collegio deve rilevarsi un’istruttoria incompleta da parte del Comune sotto due profili.
In primo luogo il Comune non avrebbe dovuto limitarsi a recepire l’autocertificazione della richiedente in merito all’indisponibilità di locali idonei, ma avrebbe dovuto comunque procedere ad effettuare accertamenti autonomi.
In secondo luogo il Comune avrebbe dovuto verificare se vi fosse stato quello spostamento della popolazione tale da giustificare l’applicazione dell’art. 5 comma 2 della legge n. 362/1991. Da tutti gli atti dell’istruttoria, infatti, non emergerebbe ictu oculi la variazione demografica, con ciò determinando anche una carenza motivazionale dell’atto impugnato.
La sentenza invero apre un ampio spiraglio all’Amministrazione quando afferma che comunque il Comune ha ampia discrezionalità nel modificare le proprie scelte programmatorie, ma in merito a tanto il Giudice sostiene che ciò comporta però un idoneo accertamento documentale riguardo almeno a intervenuti mutamenti demografici, o a disfunzioni per l’utenza o quantomeno a carenze di assistenza farmaceutica nella zona oggetto di trasferimento; sennonché gli atti autorizzatori sono privi di tale riscontro e conseguente motivazione.
In coda alla sentenza il Collegio affronta anche la censura relativa alla mancata acquisizione, da parte del Comune, dei pareri obbligatori di ASL e Ordine provinciale dei farmacisti, evidenziando che, in tutti i casi in cui non si forniscano a tali enti gli elementi utili per la formulazione del parere (nel caso di specie ambedue gli enti avevano dichiarato di non potersi pronunciare a causa della asserita carente istruttoria espletata dal Comune), si ricade nella fattispecie della mancata acquisizione degli stessi con conseguente illegittimità della delibera comunale. Anche se tali pareri non sono vincolanti, infatti, occorre comunque mettere i due enti in condizione di potersi esprimere in merito alle proposte programmatorie del Comune.
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